produzione del miele

APICOLTURA BALLARI

LA TRADIZIONE DELLA PRODUZIONE DEL MIELE ITALIANO NELLA VALLE DEL PO AI PIEDI DEL MONVISO

IL MIELE: TECNICHE DI PRODUZIONE BIOLOGICA
IL MIELE BIOLOGICO

2.1. LA PRODUZIONE BIOLOGICA: ORIGINI E DEFINIZIONI.
Il termine agricoltura biologica, privo di senso per almeno 10.000 anni, ha significato solo da metà del 1800 quando il barone tedesco Justus Von Liebig introdusse per la prima volta l’uso di sostanze chimiche di sintesi nelle colture.
Da una semplice quanto rivoluzionaria constatazione quella che le piante si nutrono di minerali contenuti nel suolo, impoverendolo, nacquero i concimi e si gettarono le basi per l’agricoltura convenzionale del secolo passato.
Parallelamente all’enorme utilizzazione pratica delle scoperte di Liebig si sviluppò un movimento che predicava uno sviluppo agricolo alternativo a quello che stava succedendo. Era il 1920, quando il filosofo austriaco Rudolf Steiner propugnava i principi dell’agricoltura biodinamica: attenzione ai cicli planetari e alle fasi lunari in primo luogo, uso di fertilizzanti naturali in grado di fortificare la pianta e difenderla da eventuali malattie o parassiti senza l'ausilio dei fitofarmaci. Ma bisogna aspettare la fine degli anni ’40 per vedere la nascita, nel Regno Unito, della Soil Association, un’associazione che iniziò a condurre e a divulgare studi scientifici che dimostrassero la validità di un’agricoltura maggiormente rispettosa dell’ambiente. Vent’anni dopo, nel 1962 veniva dato alle stampe Primavera Silenziosa il libro denuncia di Rachel Carson che diede il via ai primi dubbi sui pesticidi (sotto accusa, per la prima volta, finiva il famigerato DDT) e la consacrazione pubblica di un movimento che trovava sempre più consensi in Europa.
Che si trattasse di “organica” come la definivano gli anglosassoni, o “ecologica” come è stata per i popoli tedeschi o ancora “biologica” come veniva definita dai paesi latini, questa agricoltura passava dalla teoria alla pratica; anche in Italia, dove a metà degli anni ’70 nasceva la commissione nazionale ”Cos’è il biologico” (divenuta poi AIAB) che riuniva produttori e organismi dei consumatori anche per dare a questo settore delle regole precise di autodisciplina.
Possiamo quindi dire che oggi con la definizione “agricoltura biologica” si intendono tutte quelle forme di coltivazione che tendono a valorizzare e conservare i sistemi biologici produttivi, senza il ricorso a sostanze chimiche di sintesi.
Lo scopo dell’agricoltura biologica è quello di non alterare i cicli naturali, ma di favorirne lo svolgimento; essa si avvale degli antagonisti esistenti nell’ambiente naturale per controllare la densità delle popolazioni fitofaghe e mantenerle entro certi limiti, considerati al di sotto delle soglie economiche di danno.
La differenza principale con l’agricoltura convenzionale, sostenuta invece con mezzi chimici, si riscontra dunque nel fatto che nell’agricoltura biologica si rinuncia coscientemente e coerentemente a molti mezzi e prodotti tecnici nel rispetto totale dell’ambiente.
L’ecosistema infatti è caratterizzato da un insieme di interazioni tra gli esseri viventi e tra questi e l’ambiente che li circonda; l’agricoltura biologica si pone da sola dei limiti e si intromette in queste interazioni possibilmente con mezzi naturali.
Per l’agricoltore biologico molti esseri viventi possono essere dei piccoli aiutanti per garantire la salute delle piante e degli animali, quindi egli stesso ne agevola la presenza cercando di creare loro un habitat ideale (siepi, strisce di prato magro o incolto ai confini dei campi, etc.). Negli anni successivi lo studio del controllo naturale si estese anche ad altri organismi e su diverse colture fino alla decisiva scoperta del Baccillus thurigensis Berl, (limita le malattie dovute ad alcuni parassiti) che rappresenta ancora oggi uno dei mezzi biologici più utilizzati.
Gli interventi di conduzione richiesti da questo metodo produttivo sono senz’altro più numerosi rispetto a quello tradizionale, ma la produzione che ne deriva ha qualità intrinseche sicuramente migliori. Se si considera inoltre il minor impoverimento del terreno e l’azzeramento dei residui tossici nei prodotti ci si rende conto perfettamente di quanti e quali siano i vantaggi che deriverebbero dall’impiego esclusivo di questo metodo di coltivazione per il mantenimento degli equilibri naturali.
In Italia sono 55.000 le imprese biologiche su un milione di imprese agricole iscritte alle Camere di commercio e un milione di ettari coltivati su 15 milioni di superficie agricola utilizzata. Ma rappresentano, dato rilevante, il 40 per cento delle 135.000 imprese che praticano questa agricoltura nell’Unione europea.
Quindi, in Italia non sono ancora in tanti a praticare il biologico, anche se aumenta costantemente il numero delle imprese, ma nell’accezione generale dei consumatori alla ricerca sempre di alimenti sani e realizzati con ridotto impatto ambientale, il termine è divenuto sinonimo assoluto di genuinità.
La produzione biologica mira a:

- Produrre alimenti di elevato valore nutritivo i quantità sufficiente.
- Lavorare con metodi secondo natura piuttosto che cercare di dominare la natura.
- Incoraggiare ed innescare cicli biologici in un sistema di agricoltura che coinvolga microrganismi, flora e fauna del suolo, piante ed animali.
- Mantenere ed incrementare una durevole fertilità del suolo.
- Utilizzare prevalentemente risorse rinnovabili in sistemi agricoli organizzati localmente.
- Evitare tutte le forme di inquinamento che possono derivare dalla tecnologie agricole.
- Mantenere la diversità genetica del sistema agricolo e dei suoi dintorni, inclusa la protezione di piante ed habitat selvatici.
- Lavorare il più possibile con sistemi agricoli chiusi per quanto riguarda la sostanza organica e gli elementi nutritivi.
- Assicurare ai produttori agricoli condizioni di vita soddisfacenti, una retribuzione adeguata ed un ambiente di lavoro sano.
- Tener conto dell’ampio impatto sociale ed ecologico del sistema agricolo.

Il concetto basilare su cui si fonda l’agricoltura biologica è una radicata cultura in senso ecologico, requisito che si rivela spesso mancare tra le caratteristiche proprie degli imprenditori agricoli.
Infatti è opinione comune considerare la terra come un qualunque altro mezzo di produzione, senza tener conto di tutto il discorso legato all’ambiente.
D’altra parte anche la scarsa domanda di prodotti biologici da parte del mercato ha influenzato l’inserimento di questi prodotti a livello competitivo con il resto delle produzioni. La lentezza dell’espansione del biologico è stata altresì frenata dalla mancanza di legislazioni e di disciplinari che permettessero un controllo dei prodotti e delle tecniche di produzione, nonché una certificazione che fosse garante della qualità, riconosciuta giuridicamente e a livello nazionale.
Le regole in questo campo sono divenute “ufficiali” solo nel 1991 grazie al Regolamento CEE N°2092.

2.2. PIANO NORMATIVO.
Il miele, come prodotto sottoposto a produzione biologica, viene preso in considerazione solo successivamente al 1991, più precisamente nel 1999 con il Regolamento CEE N°1804 del 19 luglio ed in particolare nell’Allegato I parte C apicoltura e prodotti dell’apicoltura. Questo Regolamento verrà poi recepito ed interpretato a livello nazionale con il Decreto Ministeriale del 4 agosto del 2000. Le interpretazioni riguarderanno l’Allegato I parte C e B e l’Allegato VI. Quindi nell’Allegato I parte C del Decreto Ministeriale del 4 agosto del 2000 troviamo gli articoli che definiscono e regolamentano la produzione biologica di miele.

2.2.1. PRINCIPI GENERALI.
L’apicoltura è un’attività importante che contribuisce alla protezione dell’ambiente e favorisce l’impollinazione delle piante. La qualificazione dei prodotti dell’apicoltura, ottenuti con metodi biologici, è legata alle caratteristiche dei trattamenti per arnie, alla qualità dell’ambiente, alle condizioni di estrazione, trasformazione e stoccaggio.
Presso la stessa azienda apistica non è consentita la gestione parallela di apiari biologici e convenzionali; si possono eccezionalmente gestire unità convenzionali, a patto che quest’ultime deroghino dai principi del Reg. CEE 1804/99 unicamente in relazione alle disposizioni relative all’ubicazione degli apiari. In questo caso gli alveari mantengono la condizione di alveari condotti secondo il metodo dell’apicoltura biologica, ma il prodotto da essi derivato non può essere venduto con riferimento al metodo di produzione biologica.

2.2.2. PERIODO DI CONVERSIONE.
I prodotti dell’alveare possono essere venduti come biologici solo quando è concluso il periodo di conversione cioè, quando tutta la cera dei favi è stata sostituita con cera biologica; in alcuni casi si può accettare la cera convenzionale, previa autorizzazione dell’organo o dell’autorità di controllo, qualora quella biologica non sia disponibile in commercio, purchè provenga da opercoli: questa è però subordinata all’accertamento della sua idoneità basata sull’analisi della cera.
Ai fini di evitare quanto più possibile la contaminazione della nuova cera si ritiene che la sua sostituzione debba avvenire in un periodo non superiore ai 3 anni e che, nel 1° anno, per ogni alveare la sostituzione della cera interessi almeno il 50% dei favi del nido.

2.2.3. ORIGINE DELLE API.
Nella scelta delle razze è privilegiato l’uso di: Apis Mellifera Ligustica Spin, ecotipi locali e ibridi ottenuti dal libero incrocio con le razze di api presenti nelle aree territoriali di confine.
Gli apiari devono essere costituiti attraverso la divisione di colonie o l’acquisto di alveari o sciami provenienti da unità conformi alle disposizioni del Reg CEE 1804/99.
Se nell’unità di produzione esistono apiari che non sono conformi alle norme del regolamento possono, previa autorizzazione dell’autorità o dell’organismo di controllo, essere convertiti.
È possibile acquistare sciami nudi da allevamenti convenzionali per un periodo transitorio che termina il 24 agosto 2002; inoltre ,in caso di elevata mortalità, è possibile ricostituire l’apiario usando apiari convenzionali. In ambedue i casi si deve però rispettare il periodo di conversione.
Per il rinnovo dell’apiario si può introdurre il 10% di api regine e sciami non conformi al Reg 1804, senza seguire il periodo di conversione, a condizione che siano collocati in alveari con favi o fogli cerei provenienti da unità di produzione biologica Da tutti questi casi si escludono le api regine per le quali non ci sono obblighi.





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